UNIVERSO FAMIGLIA
INTERNO DI FAMIGLIA
LE PAURE DEI GENITORI: riflessioni prese dal libro GENITORE EQUILIBRATO di Osvaldo Poli ED EDB
LE PAURE DEI GENITORI
Ogni genitore desidera consapevolmente una sola cosa: essere per i propri figli un buon educatore e agire per il loro bene. Ma avvertire questo desiderio non garantisce che si possieda la capacità di vivere quello stesso valore: ci può essere una discrepanza fra il proprio ideale di genitore e le capacità psicologiche di attuarlo coerentemente.
Ecco una breve rassegna di sentimenti che possono ispirare alcuni stili genitoriali non equilibrati.
La paura rappresenta, nelle numerose sfaccettature con cui si presenta, la radice invisibile di molti errori educativi.
Dal punto di vista psicologico, le paure sono reazioni affettive originate dalla possibilità di perdere qualcosa di positivo o di importante per sé. La tendenza suscitata dalla paura consiste nell’evitare situazioni che possano suscitare dolorosi sentimenti di perdita.
LA PAURA CHE IL FIGLIO «PROVI CIÒ CHE HO PROVATO IO»
Necessità di evitare che il figlio viva esperienze negative simili a quelle della propria infanzia o adolescenza.
Atteggiamento con i figli: troppo protettivo.
Il genitore immagina che il figlio possa provare gli stessi sentimenti e abbia reazioni emotive simili alle proprie.
Se il desiderio di non esporlo a sofferenze che egli ben conosce è doveroso e giustificato, spesso non si rende conto che il figlio non ha il suo stesso carattere e che vive diversamente esperienze simili alle proprie. Il genitore agisce con il presupposto, spesso infondato, sintetizzabile nell’affermazione: mio figlio è come me, ha il mio stesso carattere.
I sentimenti del figlio non sono ancora sufficiente- mente distinti dai propri ed è comprensibile che vo-glia evitare al figlio sofferenze immaginate dalla sua paura, possibili ma non reali.
Il genitore motivato da questa paura:
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teme che il figlio si vergogni di fronte ai compagni se a scuola non è preparato nelFinterrogazione (mentre il figlio non vive la situazione con questi sentimenti);
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teme che non si senta seguito dai genitori «come è capitato a me da piccolo»;
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teme di ossessionarlo con i compiti a casa, «come faceva mia mamma con me» (con il risultato che il figlio fa i compiti in due ore, mentre con faltro genitore è velocissimo);
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pensa che non controllandolo possa approfittarsene e diventare un fannullone (come il genitore stesso si è comportato alla sua età);
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copre di attenzioni il secondo figlio perché teme che si possa sentire meno amato del fratello maggiore (mentre questa è solo l’esperienza della mamma nella sua famiglia d’origine);
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non vuole che il figlio ripeta l’esperienza del partner, che non ha ricevuto affetto e comprensione dai suoi genitori.
23 LA PAURA DI ESSERE AUTORITARI
Necessità di evitare di essere considerati dai figli troppo direttivi e impositivi nello stile educativo
Atteggiamento con i figli: Poco determinato.
Il genitore vittima di questa paura non è libero di affrontare le situazioni educative seguendo la reazione emotiva «istintiva», che lo porterebbe a prese di posizione più nette e decise.
In alcuni casi questo atteggiamento si forma dopo aver preso coscienza degli errori educativi compiuti con il primo figlio: non volendo ripetere gli stessi sbagli, il genitore eccede nell’ atteggiamento opposto creando le condizioni perché l’altro figlio sviluppi atteggiamenti caratteriali non meno preoccupanti. Se il papà con il primo figlio, ad esempio, è stato molto severo e direttivo, con l’altro si fa scrupolo di intervenire anche quando sarebbe opportuno, permettendogli di crescere senza i vincoli della disciplina.
Il genitore motivato da questa paura:
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è eccessivamente attento a «fargli capire» le cose, pensando che questo lo esima dal dover imporre;
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si dilunga in spiegazioni lunghe e sfiancanti delle proprie decisioni, mentre il figlio ha capito benissimo che il genitore ha ragione;
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è tentato di far assumere al partner il ruolo di castigamatti con atteggiamenti quali: «Adesso chiamo il papà e ti faccio sgridare», oppure al rientro del marito dal lavoro: «Di’ qualcosa a tuo figlio!», facendo l’elen- co delle sue mancanze;
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non si rende conto che il figlio fa finta di non aver capito, trascinandolo in discussioni fuorvianti, mentre segretamente si meraviglia che il genitore non prenda una decisione chiara e imponga ciò che è evidentemente giusto;
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rischia in questo modo di far mancare ai figli la funzione di guida, che, necessitando anche di imposizioni, solleva qualche protesta, ma è indispensabile per la loro crescita.
Necessità di evitare che al figlio «succeda qualcosa», prospettiva vissuta con tensione e assillo costante. Ansioso.
LA PAURA DELLE REAZIONI DEI FIGLI
Necessità di evitare che i figli abbiano reazioni emotive eccessive o sproporzionate a seguito di prese di posizione educative che non sono loro gradite.
Il genitore teme che se si comportasse come sente di dover fare, i figli potrebbero «reagire male».
Atteggiamento con i figli: sudditanza ed eccessivo timore, «gliele dà vinte».
Il genitore può avere la sensazione che un figlio sia «difficile» o «particolare» per qualche aspetto del suo carattere. Può temere che gli venga l’esaurimento, che si offenda, che reagisca ai richiami o ai divieti con aggressività e «faccia il matto», che si chiuda in se stesso, «abbia la luna» o pensi che in casa non gli si voglia bene. Altri timori molto frequenti sono: che si senta rifiutato, che scappi da casa, che abbia una reazione di rifiuto verso i valori proposti, che possa diventare geloso di un fratello o di una sorella.
Tali timori costringono il genitore a un’eccessiva cautela nel farlo confrontare con le esigenze della realtà, nel chiedergli ciò che ritiene giusto, non essendo libero di dirgli ciò che per il suo bene gli andrebbe detto. Intuendo questa paura, il figlio condiziona il genitore manifestando proprio quei comportamenti che egli teme o che lo preoccupano maggiormente, sviluppando di conseguenza gli aspetti del carattere e del comportamento che il genitore voleva evitare.
Il genitore motivato da questa paura:
+è arrendevole e non esige dal figlio quanto sarebbe giusto;
+circonda il figlio di mille premure, non osa criticarlo e si sottomette alle sue pretese
+lo tratta con i «guanti bianchi»;
+non si rende conto che il figlio lo condiziona facendo «il problematico», quello che «a casa non si trova
bene» oppure l’aggressivo;
+ va in crisi quando il figlio si fa vedere triste o annoiato, sentendosi in colpa per questo
Dicembre LA PAURA DI ESSERE CATTIVI
Descrizione: Necessità di non essere considerati dai figli come genitori troppo oppressivi, severi o all’antica, incapaci di comprensione e di affetto.
Atteggiamento con i figli: Troppo tollerante.
Come agisce: In alcuni casi il genitore, avendo avuto un difficile rapporto con i propri genitori, con vissuti non superati di rifiuto, di collera o odio, teme che il figlio provi nei suoi stessi confronti tali sentimenti. Tale timore lo porta a evitare le situazioni di contrapposizione che lo espongano al rischio di sentirsi rifiutato emotivamente dai figli.
Il genitore motivato da questa paura:
– mostra troppa pazienza e si sente in colpa nell’esigere la disciplina, permettendo al figlio di approfittare di questa sua debolezza;
– quando cerca di imporsi, «urla» con i figli, ma non ha la necessaria determinazione, non è disponibile ad andare realmente fino in fondo. Il figlio, avendo capito questo, lo lascia sfogare e aspetta che passi;
-quando punisce i figli, sembra scusarsi con loro cercando di «spiegare» la sua decisione;
-quando il coniuge prende posizione decise o impopolari, si «tira indietro» per apparire più buono agli occhi dei figli.
QUANDO I BULLIZZATI SONO I PROFESSORI
Cosa c’è nella testa dei nostri ragazzi? E’ una domanda che, negli ultimi tempi, sembra essere diventata assillante.
Sulla fine di quest’anno scolastico grava una pesante nube nera: le aggressioni e le violenze fisiche e verbali di allievi nei confronti dei docenti. La cronaca degli ultimi mesi racconta di ragazzi che, a Pesaro, a Pisa, a Lucca, hanno minacciato e umiliato i loro insegnanti, in un’escalation inquietante che non può essere archiviata nella pausa estiva. Siamo di fronte a un’emergenza educativa che chiede di acquisire consapevolezze non più rinviabili che riguardano tutti: professori, genitori, allievi, società. E famiglie, innanzitutto, dove troppo spesso viene meno quel «patto collaborativo di corresponsabilità» con la scuola del 2007 e di cui è stata annunciata una versione aggiornata, che privilegia la corresponsabilità. Nella società civile c’è una generale disistima della scuola stessa. E dell’importanza del suo ruolo nel trasmettere non solo nozioni, ma una solida formazione alla vita. Disistima che si riversa, direttamente, sugli stessi insegnanti. Al punto da trasformarli in semplici burocrati. L’insegnante è considerato un qualcuno «che deve obbedire alle regole che la famiglia detta” senza più quell’autorevolezza che faceva dell’insegnamento una vera missione, riconosciuta dalle famiglie e dalla stessa società. Tutto ciò non fa altro che esaltare il senso di impunità di tanti “piccoli bulli” che aggrediscono non solo i compagni più deboli e indifesi, ma gli stessi docenti, con una violenza verbale e fisica sempre più allarmante. E sotto la copertura e la complicità dei propri genitori. Se un professore osa spingersi a qualche rimprovero, a una nota o a un brutto voto, è facile che si satebni l’aggressione dei parenti a difesa del “principino”. E i conti si saldano subito, dentro o fuori la scuola. Ora, purtroppo, il fenomeno è dilagato anche nel mondo digitale, dove miete altrettante vittime in chi non sa resistere o reagire alla gogna mediatica.. E’ questo il frutto di una “liquidità” educativa che ha rotto il patto di alleanza tra famiglia, scuola, oratorio, e istituzioni. Il prevalere dell’individualista, l’assenza di etica in ogi ambito sociale, la furbizia e la corruzione assunte a stile di via quotidiana, stanno degradando ogni sorta di relazione
In questo contesto diventa sempre più urgente una formazione permanente dei docenti, vissuta come momento prioritario e privilegiato. Una sfida da vivere ogni giorno, tutti insieme, un’opportunità per aprirsi alle novità, al confronto e alla condivisione.
Basta BULLISMO
Ha fatto riflettere qualche mese fa un ragazzo di 12 anni, Ivan, che ha scritto un tema sul bullismo, sollecitato da una professoressa che ha avuto la sensibilità di capire il suo disagio. Un lavoro che è stato letto in classe, pubblicato su alcuni quotidiani e che ha fatto il giro del web: «Non sono sbagliato, sono solo diverso», ha scritto Ivan. In quanti credono di essere “sbagliati” e hanno così paura della loro diversità da diventare vittime silenti di chi li bullizza?
«Il bullismo», spiega Mariagrazia Contini, pedagogista dell’Università di Bologna, «è un comportamento aggressivo verbale o fisico verso un compagno, scelto per la sua fragilità. Il bullizzato non riesce a difendersi proprio perché avverte la sua diversità come colpevole e quindi le offese diventano una conferma della sua “colpevolezza”. Per questo sta zitto, soffre e non ne parla con nessuno». Questo fenomeno è diventato ancora più forte attraverso la rete: il cyberbullo non ha limiti alla sua prepotenza, non ci mette la faccia, può nascondersi e sentirsi così libero di vessare la vittima 24 ore su 24.
I dati sono preoccupanti: secondo l’ultima indagine dell’lstat, poco più del 50 per cento degli adolescenti ha subito qualche episodio offensivo o violento da parte di altri ragazzi nei 12 mesi precedenti. Se il 19,8 per cento, delle vittime subisce atti di prepotenza più volte al mese, il 9,1 per cento è bersaglio di azioni che si ripetono con cadenza settimanale. Le vittime sono in maggioranza ragazzi tra gli 11 e i 13 anni (22,5 per cento) e adolescenti tra i 14 e i 17 anni (17,9 per cento); più le femmine (20,9 per cento) che i maschi (18,8 per cento). Tra gli studenti delle superiori, i liceali sono in testa (19,4 per cento); seguono gli studenti degli istituti professionali (18,1 per cento) e quelli degli istituti tecnici (16 per cento).
C’è molta reticenza riguardo a questo argomento, da un lato perché i minori sono restii a parlarne, dall’altro perché i casi di bullismo sono sottovaluti e scambiati per normali litigi tra amici o tra compagni di scuola. «E la scuola», afferma Antonio Affinità, direttore generale del Moige, Movimento italiano genitori onlus, impegnato da anni contro questo fenomeno, «è uno dei contesti in cui il bullismo si sviluppa più facilmente, proprio perché alcuni ragazzi cercano di affermare se stessi in modo coercitivo, prevaricando intenzionalmente e ripetutamente sui loro coetanei».
Una violenza che ha luogo già nella scuola primaria, dove i bambini sono vittime di bullismo da parte di compagni più grandi, ma che si verifica per lo più nella scuola secondaria. Il rapporto 2017 del Moige – che si basa su un’indagine sul cyberbullismo dell’Università La Sapienza di Roma su 1.500 ragazzi delle scuole secondarie di primo e secondo grado – ha fatto emergere un quadro preoccupante. «Soprattutto», continua Affinità, «per il generale atteggiamento di sottovalutazione degli effetti dei comportamenti. Per otto ragazzi su dieci non è grave insultare, ridicolizzare o rivolgere frasi aggressive sui social: sostengono che le aggressioni verbali non siano violenza fisica. Sette ragazzi su dieci dichiarano che gli insulti riguardano l’aspetto fisico, l’abbigliamento, i comportamenti, ma che la vittima non subirà alcuna conseguenza da questi attacchi. Per sette su dieci non è grave pubblicare immagini non autorizzate che ritraggono la vittima». Queste risposte dimostrano come il percorso da fare sia ancora molto lungo.
A settembre il ministero dell’Istruzione ha istituito la prima Giornata contro il bullismo e il cyberbullismo, un’occasione per parlare, informarsi e progettare percorsi di sensibilizzazione nelle scuole. Come la campagna Giovani ambasciatori contro il bullismo e il cyberbullismo, «con la quale», racconta il direttore, «abbiamo formato 34.200 ragazzi, offrendo loro strumenti concreti per fronteggiare il cyberbullismo, e 68.350 genitori, che ora hanno i mezzi necessari per riconoscere i primi segnali. Ogni giorno riceviamo molte richieste di intervento da parte di genitori e professori che si rendono conto della necessità di fare fronte a questo fenomeno sempre più allarmante». Quattro i consigli del Moige per i genitori che vogliono riconoscere e affrontare il problema nel modo migliore:
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parlate di più con i figli cercando di ascoltarli senza esprimere giudizi;
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fate vivere la presenza genitoriale non come figura di controllo ma come punto di riferimento sicuro senza la paura della punizione;
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aiutate il bambino o il ragazzo ad aumentare la sua autostima, incoraggiandolo a sviluppare le sue caratteristiche positive e le sue abilità;
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stimolate vostro figlio a non isolarsi e a stabilire relazioni con i coetanei, facilitate il suo sentirsi parte del gruppo aiutandolo a esprimere le proprie emozioni.
Per i ragazzi che sono vittime di bullismo, che subiscono nel silenzio e che spesso non hanno il coraggio di chiedere aiuto ai genitori, c’è un numero verde, 800937070, e un numero di messaggistica istantanea, 3933009090, canali diretti per le richieste di informazione, aiuto, sostegno, legati alla task force del Moige, composta da psicologi ed esperti. Anche per questo tipo di violenza, che colpisce i più fragili, è fondamentale la prevenzione. Come dice don Luigi Ciotti, fare prevenzione significa far diventare il disagio una risorsa per costruire una qualità della vita migliore per tutti e ripensare le strutture educative alla luce dei nuovi bisogni che i giovani ci pongono. È importante non limitarsi ad azioni che nascono solo nei momenti di allarmismo e paura, ma lavorare insieme, genitori e figli, perché crescano e si sviluppino con continuità iniziative per e con i giovani.