Cronaca familiare

Ancora una volta Luana Dolfi si è fatta coraggio e ha tirato fuori dal sacco della sua memoria momenti di vita vissuti insieme con i suoi familiari,
La ringrazio fin da adesso per le emozioni che farà provare a qualcuno che ha vissuto quei momenti.

L’INCERATA DEI
TEDESCHI
di Luana Dolfi

Sono nata nel 1934. Nel’44 avevo 10 anni.
L’8 giugno avevo fatto la prima comunione. Il 20 giugno passavano gli aerei per butta’ giù il ponte sull’Arno. Sbagliavano sempre, ma buttarono giù il casone a Riparotti. Noi si sentiva sonare la sirena di Pontedera. Ma, a parte la sirena, si sentiva il rumore degli aerei, un rumore sordo, particolare che un ti rendevi conto da dove arrivavano. Si vedevano dopo.
Noi si stava a strada, (così si diceva: su via Magellano prima di via della Chiesa). S’era io il mio babbo Aroldo e la mia mamma Vivetta, nella casa dei contadini dell’Anguillesi, davanti a dove, ora, ci sta Marineo il fratello di Piero. Era una bella casa: al primo piano ci s’aveva la cuciva col salotto e al secondo due camere e il gabinetto. lo avevo una camera tutta per me. Il gabinetto era un rialzo con una buca in mezzo. Un tappo di legno, un secchio d’acqua e una bulletta nel muro con i pezzi di carta gialla della bottega infilati. Si montava sopra a questo rialzo, accucciati ci si faceva tutto e poi ci si buttava un secchio d’acqua per “smorza’ ” un po’ l’odore. Era un lusso avere il gabinetto in casa.
Per esempio, quando nel ’49 sono tornata nella via del cine, la casa era più bella ma il gabinetto era a mezze scale, a mezzo con la famiglia della Pieranna, della Giuse e della Deva. Era lo stesso gabinetto, fatto uguale, ma a mezzo. Lì ci sono stata fino al 57, quando mi sono sposata.
I gabinetti erano fuori, all’aperto e la tromba fuori della finestra. In quel caso si faceva tutto nel vaso e poi si vuotava fuori della finestra in un tubo che finiva a terra nel pozzo nero. Sciacquavi il vaso e lo pulivi con lo spazzolino di saggina e, se arrivava la folata di vento, gli schizzi arrivavano su chi passava. Fino al ’50 almeno, qualcuno ha avuto la tromba.
Quando sonava la sirena si scappava. A volte verso la chiesa, fra i primi ulivi, o alla cava.
Quella mattina del 20 giugno mi buttai giù nelle fosse dell’Orsini, il contadino di Renzo. Con gli occhi sgranati vedevo le bombe cascare a quattro a quattro, che venivano giù e un si sapeva dove. Picchiavano sul ponte ma un lo buttavano giù. lo ero lì che pregavo: “se muoio vado in paradiso…” dicevo tutta devota, appena passata la prima comunione! Le bombe cascavano a Riparotti.
Tutti gridavano:”A Riparotti!…” “..A Riparotti!…”.
Il mio babbo era a lavorare alla fornace di Neri, per la via del cine. Da là vedeva il fumo che si alzava da Riparotti, dove stava il mio nonno. Allora prese una pala, che serviva per spalare i gusci dei pinoli, e corse per andare a aiutare il mio nonno che pensava sotto alle macerie. Invece lo trovò che scavava per salvare chi c’era rimasto sotto. Insieme a altri tirarono fuori una donna che si chiamava Mari. Aveva le gambe sfracellate e morì poco dopo. Con lei morirono anche due della famiglia Giusti: un babbo e una bimbina che misero su un carretto per portarli al cimitero. lo ero una bimba curiosa e, da casa di nonna Elisa, sulla discesina del cimitero, mi ero messa a vedere passare il carretto con questi due morti, scoperti, senza cassa, tutti bianchi di calcina, come infarinati. Anche il mio babbo venne a casa tutto bianco di polvere.
Un’altra volta si scappò alla cava. Aveva suonato l’allarme di Pontedera. “Andiamo via…! Andiamo via!…” “Ma è mezzogiorno, portiamo da mangia’!” Fece il mio babbo. Mamma aveva cotto il paracore, il picchiante. Chiappò il tegame, mise piatti, pane, tutto nella canestra e si scappò alla cava. Si mangiò mentre si vedeva bombardare Pontedera. A me mi pareva una festa, un picnic.
Dopo questi fatti mamma decise che si doveva andare a stare ai Lupi, alla casa natale della mia nonna Elisa dove ci stavano i suoi nipoti. Era un po’ appartata; più lontana dal ponte e distante dal paese, pareva più sicura. Chiesta I’ ospitalità ai nipoti che ci abitavano, ci si portò prima una materassa, poi due. La sera si srotolavano in cucina e si dormiva lì.
Gli ultimi di giugno s’ era già sfollati in monte, mentre babbo e mamma continuavano ancora a lavorare alla fornace di Neri.
La prima tappa si fece a Monte Novo. Si stava in un casotto di Neri Nesti, piccolo un terzo di questa stanza. S’era io, la mi’ mamma, il mi’ babbo, nonni e zìi.
Arrivata ai lupi, si prende la strada del rio, poi c’è la deviazione che monta su e, se continui, vai in Perocchio. Il casottino era là sopra al rio.
Una volta fece un nubifragio: all’improvviso d’estate venne giù il mondo e poi smettè. Il rio s’ingrossò in un momento. La Svezia, la mamma di Cesare, che aveva la bottega d’alimentari, aveva portato un mucchio di roba da mangiare: la farina, la pasta, lo zucchero e se l’aveva sistemata in un capannino su palafitte. Venne giù la “riata” e gli portò via tutto.
Mi ricordo che la pasta la recuperarono e la misero a asciugare al sole. Pasta tagliata di tutti i tipi: chiocciole, farfalle, sedani, penne…Lo zucchero l’acqua l’aveva portato via lungo il rio ma non s’era strutto tutto. Al sole era rimasto sulle foglie a palloccoline. Noi s’andava a cercare queste palloccoline di zucchero e si mangiavano…!
Ci si stette fino al 16 luglio, quando cominciarono le cannonate.
L’altro giorno si diceva con la Enza della Varese: ” la Madonna del Carmine ci portò le cannonate.” Il 16 luglio era la festa del Carmine, una volta la festa del paese.
Tanti rimanevano in paese, ma tanti erano sfollati in monte. Alla fine di luglio, però, erano scappati tutti.
Nonno veniva giù a prendere la roba nell’orto. Si cucinava all’aperto.
Dove ora c’è la casa della Lucia Sassi, nonno c’ aveva un campino con un grande albicocco e, a seconda della stagione, ci coltivava pomodori, patate, granturco…Questo orto confinava con la casa del fascio, dove c’era il Comando tedesco. La truppa stava sotto le tende, in piazza al monumento. I tedeschi non erano esse esse, non erano cattivi, erano normali. Uno, soprattutto, veniva a guardare, chiedeva curioso, interessato a come nonno potava… Era buono. Abbiamo pensato che, forse, aveva una terra da coltivare al suo paese. Una volta disse a nonno: ” ora ci spostano, noi andiamo via, qui vengono le esse esse, qui c’avete la prima linea. Andate via sui monti, prendi la tua famiglia…le esse esse ammazzano…”

Il muro dell’orto confinava col cortile della casa del fascio dove i tedeschi
portavano i camion. Un giorno avevano messo gli incerati dei camion a sciugare sopra al muro. Il vento ne buttò uno di sotto, nell’orto di nonno. Era sera e nonno lo chiappò e lo portò a casa in previsione dello sfollamento. Ci tagliò tutti i bordi e tutti i segni di riconoscimento, poi lo misero a bollire coll’olio di semi e diventò di un bel verde come quello degli ombrelli d’incerato. Quell’incerato fu la manna dal cielo. Al momento opportuno nonno lo alzò con quattro pali e lo coprì con le frasche: non si vedeva. Era nascosto bene. Tutti venivano a ripararsi sotto la nostra capannina e dicevano ” o come mai qui un ci piove?” Non sapevano che c’era l’incerata dei tedeschi.
Da Monte Novo, a forza di scolletti, si passò da Francescone, ai Forcelli: ci si chiamava alle 3 fontine, ai piedi del Lombardone. Ci s’aveva il rio per lavarci e lavare i panni ma s’era incoscienti perché quell’acqua era piena della sporcizia di tanta gente, ci si poteva ammalare. Non c’ avevamo sapone. Mancava tutto: il sale, il caffè era un lusso. La gente tostava il grano, l’orzo per fare il caffè. Come facevi a fare da mangiare senza sale?!…Se lo compravi al mercato nero è capace che mezzo chilo di sale costava un occhio della testa. Per bere c’erano le tre fontine che buttavano piano piano.
Quando s’era lassù ai Forcelli c’erano tanti da Livorno, da Pisa, Cascina, Cucigliana…Questa gente di che campava? Le donne, avanti giorno, scendevano e andavano a ruba’ il grano. Qui arrivavano con la manna: paglia e spighe da pulire…Nonno, avanti giorno, scendeva col corbello. Finiva alla cava, alla chiesa e poi, sotto alla fonte, si buttava nei suoi orti: uno era il campino a confine con la casa del fascio, e un altro un pezzo grande che, dalle Suore, andava a confine con Elavio. Ci faceva di tutto in tutte le stagioni. Arrivava e empiva il corbello di roba, anche acerba. Tornato lassù dava due pomodori a questo, due pesche a quell’altro e non voleva essere pagato. Nonna Elisa tagliava a fette la frutta acerba e la cuoceva. Veniva una specie di marmellata senza zucchero.
I contadini s’erano portati anche le bestie: mucche, asini, cavalli… Animali che morivano di fame anche loro. Se gli si portava la paglia del grano ti potevano dare un bicchiere di latte e la mia cugina Franca era piccina. A volte succedeva che una cannonata ammazzava un animale, oppure ne ammazzavano uno prima che morisse di stenti. Allora sentivi dire: “ammazzano la vacca!”. Cera chi la sapeva tagliare e la gente andava per prendere qualcosa. Un pezzo a uno, un pezzo a un altro, era una festa.
Un’altra volta morì un cavallo da una scheggia. “E’ morto il cavallo al tale! Lo macellano”. Subito ecco la mia mamma partire con la zia Gisella e aspettare che tagliassero il cavallo.
La mia mamma era schizzinosa e il cavallo non lo mangiava nemmeno se moriva di fame. La gente a quel tempo sapeva adattarsi e ingegnarsi per mangiare. Se oggi questa generazione si trovasse in situazioni difficili, come quella passata da noi da sfollati, chissà come se la caverebbe.
Per noi c’era polenta e pesci d’ Arno pieni di lische, gamberi d’Arno che bucavano la gola; minestra di fagioli tutti i giorni, polenta e polenta di farina dolce, che a me non mi piaceva. In casa era comune si allevassero conigli. Le donne che avevano un cigliere, una cantina, un sottoscala s’ingegnavano a fare l’erba e avevano una risorsa di carne. Poi mettevano le galline e avevano le uova. A fare la spesa alla bottega si andava solo per il pane, la pasta, lo zucchero. La marmellata si faceva in casa, la conserva di pomodoro lo stesso. Si comprava sfuso, a peso: un pezzo di foglio oleato e un cucchiaio di marmellata sulla bilancia era più quella che rimaneva attaccata al foglio di quella che ci rimaneva per noi. La mortadella era un lusso. A merenda una fetta di pane unto col pomodoro, o con la marmellata… o con acqua e zucchero…col vino e zucchero…. unto con l’aglio….con un frutto….
In tempo di guerra a scuola c’era la mensa per chi aveva il babbo militare. Nel ’40 e ’41, la prima e la seconda le ho fatte sotto la chiesa e, in fila con la maestra, si andava alla scuola in piazza, dove c’erano le classi alte, per mangiare. Nel corridoio c’era una tavola lunga lunga, apparecchiata con un piatto di minestra e una fetta di pane con la marmellata per ogni bimbo. Noi si faceva a gara a scegliere il posto dove la fetta di pane era più grossa e , magari, era il cantuccio.

LOURDES 160 anni DOPO

Pellegrinaggio Diocesano 3/6 Settembre 2018

Oltre 100 Pellegrini, provenienti da Pisa, da San Giovanni alla Vena, da Pontedera, da Buti, da Barga, dalla Versilia, da Castellina Marittima, da San Pietro in Palazzi e da Santa Maria a Monte, hanno accompagnato il nostro Arcivesco a Lourdes.Lourdes10

Lourdes ti spiazza sempre. Ci arrivi e ti aspetti di incontrare un  universo di dolore, la sintesi perfetta  della sofferenza del mondo: persone malate, disabili, allettati, in carrozzina, anziani con poca vita davanti e tanta alle spalle. Tutti qui a impetrare un miracolo alla Madonna. E, invece, la realtà è un’altra: uno sguardo implorante e tanta tenerezza dappertutto.

Lourdes è uno di quei luoghi da visitare almeno una volta, ma che tutte le volte riesce a rinnovare un messaggio che apre gli occhi e rallegra il cuore. Il santuario di Lourdes, cittadina ai piedi dei Pirenei, non è un posto in cui si arriva, ma uno da cui si parte, verso nuovi traguardi e più ampi orizzonti di speranza e di fede. Si giunge fin qui sulle orme di Bernadette Soubirous, la giovane pastorella che, tra il Febbraio e il Luglio del 1858, esattamente 160 anni fa, assistette alle diciotto apparizioni della Vergine, vestita di bianco e con una rosa dorata sui piedi, nella grotta di Massabielle.

Attualmente il santuario mariano è una delle mete di pellegrinaggio più conosciute al mondo, dove ogni anno convergono oltre cinque milioni di fedeli.

Le tre basiliche

Di solito si giunge sul posto in pullman, in grandi gruppi organizzati, oppure con un più veloce e più comodo aereo. Dopo aver percorso la strada che conduce al santuario, disseminata di alberghi, ostelli, ristoranti, negozietti di souvenir 

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dove acquistare rosari e immagini sacre, si varcano i cancelli, immergendosi in un’atmosfera pervasa da pace, spiritualità e luce, dove il cielo sembra incontrare la terra. Su un’area di oltre 50 ettari, sono concentrati ben 22 luoghi di culto. Maestose le basiliche, tre chiese una sull’altra: la basilica superiore o dell’Immacolata Concezione, consacrata nel 1876, in stile neo-gotico, a cinque navate; la basilica inferiore o del Rosario, consacrata nel 1901, in stile romanico-bizantino, al cui interno vi sono 15 cappelle; la basilica di Pio X, consacrata nel 1958, un’enorme struttura sotterranea coperta da un tetto di cemento in grado di accogliere circa 20 mila fedeli.

La grotta e le piscine

Ma il cuore del santuario è senz’altro la grotta dove è apparsa la Madonna e da cui sgorga l’acqua miracolosa. Qui una statua raffigura l’Immacolata Concezione, che, «così giovane e così piccola», ha scelto di non imporsi dall’alto, ma di comparire nel cavo della nuda terra, mentre una lapide ricorda Bernadette. Noi di San Giovanni abbiamo partecipato ad una celebrazione Eucaristica alla Grotta subito Martedì mattina. Nel pomeriggio abbiamo seguito una guida che ci ha portato a visitare i luoghi di Bernardette, la sua casa natale, un’umile e modesta dimora, e il museo a lei dedicato che contiene alcune testimonianze della vita della  santa. Alle ore 18 precise siamo ritornati alla Grotta per la recita del Rosario. L’avvicendarsi dei fedeli per rendere omaggio alla Signora continua fino a mezzanotte, in un silenzio orante che, travalicando tempo e spazio, predispone all’incontro con il nostro intimo e con il divino.

Caratteristiche del santuario le “piscine”, vasche riempite dell’acqua che sgorga dalla sorgente, a 12 gradi, nelle quali si immergono ogni anno circa 350 mila pellegrini, ricordando l’invito della stessa Vergine che disse a Bernadette: «Vai a bere e a lavarti nella fontana». Un gesto di conversione, che simboleggia la rinascita a nuova vita dopo aver ottenuto il perdono di Dio. Noi quattro, carichi dell’atmosfera di Lourdes, abbiamo voluto fare esperienza di quel telo ghiaccio che ti mettono addosso. Qualcuno ha rinunciato per timore che quei brividi gli giocassero qualche tiro mancino.

La fiaccolata della sera

Al santuario, nel corso della giornata si susseguono messe e confessioni in tutte le lingue del mondo. Chi vuole può percorrere la Via Crucis sulla collina delle espélugues, ovvero delle spelonche. Realizzata in tredici anni e terminata nel 1912, l’opera comprende 115 statue in ghisa dorata.Lourdes2

Uno dei momenti più suggestivi resta però la fiaccolata ale, introdotta per la prima volta nel 1863 dal cappuccino padre Marie-Antoine, durante la quale centinaia di fedeli di tutte le nazionalità, tra cui numerosi infermi, recitano il rosario con in mano una candela, affidando con fiducia le proprie intenzioni alla Madonna. Al canto di Ave, Ave, Ave Maria tutti alziamo la candela verso l’alto, ma la voce ti muore in gola per la commozione.

Mercoledì mattina, 5 Settembre, il nostro Arcivescovo ha presieduto una concelebrazione Eucaristica nella Basilica sotterranea con diversi Vescovi e un centinaio di Sacerdoti. Tra le altre cose: ” …..L’invito che a Canan di Galilea la Vergine Madre Maria rivolse ai servi” fate quello che Gesù vi dirà”, è lo stesso invito che oggi rivolge a noi, pellegrini alla Grotta di Massabielle. Occorre ascoltare quell’invito, accoglierlo nel cuore e tradurlo nella vita. C’è bisogno di rimboccarci le maniche, cioè di agire, di operare tutto quel bene che ci viene data occasione di compiere, giorno per giorno nelle piccole cose di sempre per essere pure capaci di dare risposte vere anche nelle grandi occasioni…..”.

Mercoledì pomeriggio abbiamo partecipato alla splendida Via CrucisLourdes13 riflettendo sulla Famiglia. Tanta fatica, il cuore ansimava, tanto sudore, ma tutto questo non era niente rispetto alla sofferenza del Signore.

All’ora di cena, per la prima volta, abbiamo sentito uno scroscio d’acqua che non ha permesso di fare la processione aux flambeaux

L’ufficio che valuta le guarigioni

All’interno del santuario, si colloca anche l’Ufficio delle Constatazioni mediche, fondato nel 1883 dal medico Georges-Fernand Dunot de Saint-Madou. Compito di questo bureau, in cui opera personale permanente, è ricevere le dichiarazioni di guarigioni straordinarie dei fedeli e vagliarle alla luce delle conoscenze scientifiche disponibili. A oggi i dossier di guarigioni depositati sono 7 mila e i casi riconosciuti come miracoli dalla Chiesa 69. Tra questi, quello di Joachime, una ragazza belga affetta da ulcera della gamba con cancrena molto estesa; di Justin, un bimbo di due anni infermo; di Elisa, colpita da ipertrofia cardiaca, e di molti altri ancora. Tutti hanno ritrovato la propria salute.

 PERCHE’ I MALATI VANNO A LOURDES?

Lourdes14Anch’io sono stata a Lourdes, e ho voluto fare il bagno nelle piscine con l’acqua ghiaccia. Ma, per me, è stata un’esperienza molto dolce. Ho visto tanta gente che si recava lì con la fiducia di trovare la guarigione. Ma non è per questo che sono lì. Vengono  soprattutto a chiedere a Maria di aiutarli a portare quello zaino così pesante che la vita ad un certo punto ha caricato sulle loro spalle. Ho visto persone inginocchiate davanti alla grotta, le ho viste sospirare, le ho viste singhiozzare, ma anche trovare una nuova speranza, capire che c’è un modo diverso di vivere, sia pure con le fatiche e le contraddizioni che tutti ci portiamo dentro. Tutto è lieve a Lourdes, perfino la sofferenza. Il dolore, che visto in qualsiasi altro contesto scandalizzerebbe, qui pare affrontabile, quasi leggero. Perché qui si scopre che si può soffrire e non essere soli, aver paura ed incontrare chi ti dona coraggio E’  questo il vero miracolo di Lourdes, quello che attrae milioni di pellegrini.

Un giornLourdes1o la Madonna chiese a Bernadette di scavare in un certo punto del terreno e nel giro di qualche ora scaturì una piccola sorgente, attiva ancora oggi. La invitò a bere e a lavarsi con quell’acqua. Tutti abbiamo bisogno di scavare nel nostro cuore e nella nostra vita. All’inizio c’è il fango, certo, ma poi affiora l’acqua pulita che è la nostra bontà, la nostra capacità di accogliere e di amare. Da quel momento la devozione popolare ha ritenuto quell’acqua speciale. Si dice che quell’acqua sia miracolosa, perché in molti casi ha guarito diverse persone colpite da mali vari. A sfatare mille supposizioni  il Santuario ha ritenuto opportuno far esaminare ogni guarigione da una apposita commissione di medici.Lourdes4

Lourdes è anche un luogo di contraddizioni. Lo si capisce dalle decine di negoziati che vendono di tutto, segnando in modo ancora più netto il contrasto tra il dentro e il fuori, tra l’area del Santuario e quella del commercio

QUINDI TU CREDI NELLE APPARIZIONI DELLA MADONNA,

NEI MIRACOLI E A TUTTE QUESTE COSE QUA?

Sì, io ci credo. Però non baso la mia fede solo su questo. Un pericolo legato alla devozione di questi luoghi sta nel fatto di accettare di credere in Dio solo dopo aver riscontrato un miracolo concreto, di quelli cioè che hanno un’evidenza fisica. Ma si può mercanteggiare con il Signore e dirgli: io credo in te, ma solo se mi dai delle prove?. La fede si basa sulla fiducia, sulla convinzione di essere voluti e amati da Dio, non su un rapporto del tipo: io ti do se tu mi dai. Ma credo anche che il Signore usi tanti modi per conquistare il cuore degli uomini. Si dice che le vie del Signore sono infinite ed è vero: se serve un miracolo per “catturare” la fiducia di qualcuno, Dio non lesina sulla grazia. Fra qualche anno potresti andare a Lourdes anche tu.

MA IO SONO SANO, COSA CI VADO A FARE?

LourdesLa più bella esperienza che potresti fare da maggiorenne “sano” è di accompagnare i malati. Ci sono delle  associazioni che organizzano i viaggi a cui partecipano molti malati in carrozzina che hanno perciò bisogno di accompagnatori. Mettersi a disposizione di questi bisognosi e tornare a casa migliori è uno dei grandi miracoli della Madonna di Lourdes. E di giovani che spingono una carrozzina ce ne sono tanti.♦

SAN GIOVANNI ALLA VENA

Dopo il Diario della Signora Luana, ecco altre due pagine di ricordi della Maestra Delia Bulleri, che attualmente vive a Firenze, e che ci dà un’idea di come si viveva da sfollati e qual’ era lo stato d’animo in monte, in quel del Crocicchio, tra il Luglio e il Settembre del 1944.

Molti Sangiovannesi  leggeranno queste pagine con tanta curiosità; altri ritroveranno e rivivranno in questo breve Diario alcuni momenti tragici del loro passato e insieme ad un velo di malinconia.

Ringraziando con piacere la Maestra Delia, mi auguro che anche la lettura di queste pagine possa contribuire a consolidare in noi  pensieri di pace.

1 Luglio 44”

Dopo un anno che eravamo sfollati nella nostra casa colonica in quel del CROCICCHIO….cominciano frequenti bombardamenti sul ponte di san Giovanni, su Fornacette e su Cascina.

I tedeschi, posti nella parte destra dell’Arno cominciano a risalire le prime colline per piazzare I mortai. Sono diventati il nostro terrore: depredano le case, distruggono e come se non bastasse, fanno retate di uomini per deportarli in Germania a lavorare. Il fatto di essere presi e deportati è un incubo insopportabile. E necessario perciò allontanarci da questa zona, lo è un anno preciso che mi trovo quassù. Da tempo abbiamo preparato zaini e sacchi, pieni di provviste e gli indispensabili indumenti personali….

12/7/44

Uno dei miei fratelli…con uno zio si sono spostati nell’Interno dei monti per trovare un punto dove condurre le famiglia. Mia sorella col bimbo, guidata da una esperta contadina, si allontana subito stasera. Ho persuaso mia mamma ad andare anche lei. Resterò io a curare gli uomini più anziani che rimangono a casa.

16/7/44

Questa mattina, alle sei, è partito l’ultimo scaglione: la nonna su una poltroncina a cui erano applicate due stanghe per allungarne I braccioli. Claudio, un anno, piangente in collo alla nonna. Gli altri tutti carichi di enormi fagotti. Alla mia mamma, nel lasciarmi, le è venuto da piangere. Mi ha fatto delle raccomandazioni, lo col nodo alla gola l’ho incoraggiata e rassicurata.

20/7/44

Nel pomeriggio furono legati alcuni materassi da portare ai nostri cari….Ero molto stanca e non vedevo l’ora di arrivare alla sera per andarmene a letto. Ma la sera ci riservò una brutta sorpresa. Erano circa le venti, stavo finendo di preparare in fretta la cena mentre la mia contadina era nella stalla a mungere quando apparvero due tedeschi che si fermarono a conversare con mio padre, con mio zio Renato e il Prof S. seduti fuori casa. Per fortuna che dei nostri uomini giovani nessuno era In casa.

Ad un tratto si udì una forte esplosione: era una cannonata Angloamericana alla quale ne susseguirono altre ugualmente spaventose, lo mi affrettai a mettere in una borsa pomodori, carne, formaggio, marmellata, da bere, un coltellino per una cena all’aperto. Mi sembra che le cannonate siano lanciate sulle passerelle di Lugnano, Cucigliana e San Giovanni. Nel tempo che si cena giungono le mie zie Manetta e Lorenzina che erano sfollate a Cevoli. Dopo cena facciamo gli ultimi preparativi. Le cannonate sono meno frequenti e verso l’una di notte decidiamo di coricarci, con I vestiti, alla meglio. In casa ci sono anche alcuni vicinanti venuti per sapere che cosa pensiamo di fare. Rimangono lì con noi. Si tenta di dormire, ma nell’aria c’è un agitarsi di eventi che non fanno dormire. Verso le tre, infatti, ricominciano le cannonate.

Dal soffitto cadono calcinacci, così ci rialziamo tutti per la fuga. Poi le cannonate si riallontanano e allora di nuovo a letto. La mattina, alle cinque, equipaggiati di zaini e coperte abbiamo abbandonato la casa per raggiungere gli altri familiari.

28/7/44

Ieri, dopo un’ora e mezzo di cammino, siamo giunti sul monte Perocchio. La capanna che si sono fatti I miei familiari è la più alta e isolata fra le altre. Intorno ve ne sono altre in costruzione e ben presto ci troveremo in mezzo a tanta gente dalle abitudini più varie. Le provviste che abbiamo dureranno all’incirca per quindici giorni. Noi siamo tanti, per cui i nostri uomini faranno un’altra capanna: una per gli uomini e una per le donne e I bimbi.

25 Agosto 44

Non avrei mai pensato che il 25 Agosto sarei stata ancora quassù. Quanti sacrifici, quante cose veramente dure abbiamo dovuto affrontare e quante ve ne saranno ancora. Una volta dovrà pur finire, ma la baldanza speranzosa dei primi giorni è scomparsa e poi, avremo la forza di arrivare in fondo? Siamo già tutti fisicamente provati, i rifornimenti sono finiti e si vive alla giornata.

Gli Americani sono di là d’Arno ma nicchiano ad attraversarlo perché credono che di qua ci sia una forte massa di Tedeschi, mentre invece ce n’è un esiguo gruppo che, spostandosi continuamente e sparando da vari punti, fanno credere all’avversario di essere in tanti. Intanto I tedeschi sparano addosso a chiunque tenti di attraversare di il fiume. Dall’altra parte dell’Arno la pianura offriva I suoi più ricchi doni mentre qui i monti sono sterile e per racimolare qualcosa da mangiare bisogna fare dei chilometri esponendosi al rischio delle cannonate. Trovare una manna di grano abbandonata è una fortuna. Ma poi il grano va schiccolato a mano. Con tutta la crusca, poi, per non sprecare nulla, si macina con il macinino del caffè.

E l’acqua? Bisogna andare lontano e poi sgorga lentamente e bisogna fare la fila. Noi siamo tanti e bisogna usarla con restrizione assoluta per questo i nostri corpi sono sporchi di sudore e dì terra e I vestiti anche di più. Le capanne piene di zaini, di materassi e di coperte sono invase dalle pulci.

Gli uomini stanno allestendo una terza toilette private: una profonda buca protetta da un telo che la recinta.

Sono venuti su I Tedeschi con l’intenzione di fare un po’ di razzia. A me hanno strappato dal collo la catenina d’oro; a mio padre hanno tolto l’orologio dal taschino. Poi si sono avviati verso un piccolo rifugio dove si trovava mia sorella col bambino di tre anni. Fortuna volle che il bambino avesse avuto un disturbo intestinale e mia sorella aveva posto il vasino sporco presso l’entrata. Lo indicò ai tedeschi dicendo:”malato! Diarrea!”. Al che I tedeschi si sono allontanati fulmineamente. Ciò ha determinate la salvezza dei miei fratelli che, sentendo che c’erano in giro I tedeschi si erano nascosti sul fondo del rifugio separato da una stuoia mezza rotta e da vari arboscelli secchi che sembravano buttati lì con noncuranza. Da questo giorno fuori delle nostre capanne stazionano vasi da note con dentro dei fondi di surrogate di caffè sciolti con acqua.

Non è mancata una notte di bombardamenti inviati sul colle dove riparavamo in circa cinquemila persone. Poco sotto a noi c’è stato un ferito, lo sono stata sfiorata da una grossa scheggia mentre cercavo di proteggermi la testa con le mani.

All’alba tutta la gente è scappata chi a Buti, e chi in altri paesini vicini. La mia mamma si è allontanata con in mano due galline perché erano galline che facevano l’uovo e perciò preziose in certi frangenti.

Gente che custodiva gelosamente fagioli, zucchero o sale venivano ad offrirli per non portare dietro quel peso nella fuga. Mio padre era rimasto sul posto per tentare di recuperare I copertoni impermeabili con I quali erano state fatte le capanne. Questi copertoni, piuttosto costosi, sarebbero stati di nuovo utilizzati a Cascina per coprire I camion per la consegna dei mobile ai clienti.

Passata la notte, con mio padre siamo scesi per vedere la nostra casetta colonica. Era stata depredata della biancheria, della bella fisarmonica e di un bel paio di stivaloni di pelle. E va bè: eravamo salvi.

Gli americani sono ormai passati di qua dall’Arno. So che corrono con le camionette e gettano caramelle.

Ho un senso di umiliazione!. In compenso si comincia a ritrovare tutto a cominciare dal pane, fin troppo bianco perché di farina elargita dagli americani. Non siamo più costretti a dover mangiare pomodori verdi e pere acerbe! cotte naturalmente perché non ci facessero male e raccolte nei campi abbandonati mentre eravamo sul Perocchio.

La vita comincia a riprendere lentamente la sua normalità

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I NONNI SONO LA STORIA PER MONDO:

‘UANDO ‘RCAPELLO ‘NMBIANCA E AUMENTANO L’ACCIACCHI,

SEMBRA GUASI CHE TI FRANI ‘R MONDO ADDOSSO E SUBBITO TI FIACCHI.

TI SENTI UN PO’ DEPRESSO E TI MESURI LA PRESSIONE A TUTTE L’ORE

E UN PERDI L’OCCASIONE PE’ FATTI VISITA’ DAR TU DOTTORE !

LEGGI ‘R GIORNALE AR BARRE, MAGARI COR PONCE, CONCEDENDOTI UNA SOSTA,

E DOPPO PARTI COL LIBBRETTO PE’ RISCOTE DU’ BICCI DI PENSIONE ALLA POSTA !

LA CRISI TI TOCCA ANCO LE TASCHE E LA SPESA E BISOGNA “ARRANGIA’ ‘”

E ALLORA FINCHE’ REGGANO LE GAMBE FAI UNA GIRATINA ‘N BICIRETTA E UN TI CI FISSA’ !

ARMENO LA PARTITA A CARTE T’E’ RIMASTA, MA NE’ BARRE ORA E’ VIETATO FUMMA’ ‘R CICCHINO,

CI MANCA SOLO CHE TI DIANO LA ‘APOMILLA A’ PASTI AR POSTO DER GOTTO DER VINO …

ANCO LA TU’ “PORA” MOGLIE UN’E’ CHE SE LA PASSI MEGLIO, GLIE’ SEMPRE ‘N DAFFARATA,

FRA PREPARA’ ‘R MANGIA’ E POI RIGOVERNA’ E CIOTTOLI PRIMA A PRANZO E POI ‘NSERATA…

MAGARI POI UN TI ‘ONTENTA NEMMENO PERCHE’ LA CICCIA DICI E’ DURA E TI DMENA LA DENTIERA ALLORA, CARO MARITO MIO ARRANGIATI, ORA E SORTO IO: VO’ A GIOA’ A TOMBOLA STASERA!

E COSI’ PARTI DI ‘ASA PER AND A” AR COMITATO TUTTA ‘NFERVORITA…

SPERANDO DI FA’ ARMENO UNA CINQUINA E MAGARI FORSE VINCE UNA PARTITA.

‘UANDO ARRITORNI VERSO ‘ASA UN PO’ ASSONATA PERCHE’ L’ORA GIÀ’ TARDAVA,

APRI L’USCIO E LO TROVI CHE GIÀ’ RUSSA SUR DIVANO, S’È’ ADDORMENTATO MENTRE LA TV GUARDAVA. TE LO GUARDI, ‘R TU ‘ONSORTE, ‘UANTO TEMPO CH’E’ GLIE’ SCORSO E QUANTE N’AVETE PASSATE;

TI PIGLIA UN PO’ DI MALINCONIA PERO’ CI SONO STATI ANCO MOMENTI BELLI CON UN SACCO DI RISATE

POI, E FIGLIOLI ANCO SE SI VEDAN SEMPRE MENO E TI PORTANO I BIMBI DA BADA’ E DA CUSTODI’;

GLI PREPARATE LA ‘OLAZIONE E POI VIA A SCUOLA E LI RIPRENDETE A MEZZODÌ’.

E ORA UN DITE CHE UN E’VERO, E NDPOTI SON VIVACI E VI FARANNO UN PO’ AMMATTÌ’

MA QUANDI CI SONO LORO IN CASA VI SEMBRA ANCO A VOARTRI DI RINGIOVANÌ’ !

GLI RACCONTATE LE VOSTRE STORIE, DI COM’ERANO DIVERSI I TEMPI ANDATI,

E LORO VI STANNO A SENTI’ A BOCCA APERTA E RIMANGONO COME ‘NCANTATL

GLIE’ VERO: I NONNI, LO SAPETE, SONO LA STORIA DER MONDO,

E MI GARBEREBBE TENELLI TUTTI PER MANO IN UN GRANDE GIROTONDO…

L’ETÀ’ UN CONTA, COME UN CONTA DELLA PELLE ‘R COLORE.

OGNI ANNO CH’E’ PASSATO SULLA LORO GROPPA E’ STATO UN DONO D’AMORE !…!