A DOMANDA risponde……….

   

 

PERCHE GESU E MORTO?

Abbiamo visto poche pagine addietro che il male che è nel mondo e in ciascuno di noi dipende dal fatto che tutti abbiamo peccato.

Il nostro egoismo non solo provoca un indicibile danno agli altri, ma ci separa anche da Dio, così che sembra che Dio sia lontano mille miglia e non si preoccupi di noi.

Non possiamo ritornare a Dio da soli: non siamo sufficientemente buoni. Ciò di cui c’era bisogno era qualcuno che fosse perfetto, senza ombra di peccato, che potesse riportarci nella relazione di amicizia con Dio. Prima che potesse avvenire questo, bisognava affrontare il problema del peccato dell’uomo. Avevamo bisogno di qualcuno che ci salvasse e per questo è venuto Gesù, il Salvatore mandato da Dio.

Se cadi in un fiume e non sai nuotare non vuoi uno che ti impartisca la tua prima lezione di nuoto: hai bisogno di qualcuno che ti salvi.

Se hai un grosso debito hai bisogno che qualcuno intervenga, paghi il debito e ti riscatti.

Ma come può Gesù, che è vissuto e morto duemila anni fa, liberarmi oggi dai miei peccati?

La morte in croce di Gesù non è semplicemente un evento accaduto nella storia. Ognuno, uomo o donna, deve oggi decidere quale risposta dare a questa morte.

Pensa a Dio come a una moneta che ha due facce: una la giustizia e l’altra l’amore. A motivo della sua giustizia, Dio giustamente ci condanna, perché il peccato e il male devono essere puniti. Non avremmo una buona considerazione di un giudice che continuasse a lasciare andare in libertà dei criminali riconosciuti colpevoli.

A motivo del suo amore desidera ardentemente che tutti diventino suoi amici. È come se Dio avesse un problema: rimanere giusto e nello stesso tempo perdonare gli uomini colpevoli per il male commesso.

Quando Gesù morì sulla croce, la giustizia e l’amore di Dio furono perfettamente soddisfatti. Il peccato doveva essere punito, perciò Dio nel suo amore mandò suo Figlio a morire al nostro posto, sopportando la pena di morte che i nostri peccati avevano meritato.

Per questo gridò dalla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» {Matteo 27,46). Gesù prese su di sé la completa punizione per i nostri peccati.

Pietro era uno dei seguaci di Gesù, che lo vide morire. Ha scritto: «Cristo è morto una volta per sempre, per i peccati degli uomini. Era innocente, eppure è morto per i malvagi, per riportarvi a Dio» {1 Pietro 3,18).

Questa è la misura dell’amore che Dio ha per te e per me. In nessun altro modo potevamo essere salvati dal nostro egoismo e dal nostro orgoglio. Proprio prima di morire Gesù esclamò: «È compiuto» {Giovanni 19,30). Non era un grido che ne indicava semplicemente il termine: «L’ho finito! ». No, era un grido di vittoria: « L’ho compiuto! ». L’enorme debito dei nostri peccati era pagato una volta per sempre.

La strada per tornare a Dio è ora completamente aperta, il perdono di tutti i nostri peccati è offerto liberamente, l’amicizia con Dio è ora disponibile per chi la chiede.

 

Dal libro di Tonino Lasconi CI CREDO ANCORA editrice ELLEDICI

IL NOSTRO VIAGGIO NELLA VITA

Saliamo in treno e ci troviamo con i nostri genitori 👥

e crediamo che sempre viaggeranno al nostro fianco,

ma in qualche stazione loro scenderanno lasciandoci viaggiare da soli.

Nello stesso modo, nel nostro treno saliranno altre persone, saranno significative:

nostri fratelli, amici, figli ed anche l’amore della nostra vita. 💖

Molti scenderanno e lasceranno un vuoto permanente….. 😢

Altri, passeranno inosservati! 

Questo viaggio sarà ricco di gioie, dispiaceri, fantasie, attese e saluti.

La riuscita di questo viaggio consiste nell’avere una buona relazione con tutti i passeggeri

e nel dare il meglio di noi stessi.

Il grande mistero è che non sappiamo in quale stazione scenderemo…….

Per questo dobbiamo vivere nel migliore dei modi:

amare, perdonare ed offrire il meglio di noi… 

Così, quando arriverà il momento di scendere

ed il nostro sedile sarà vuoto, lasceremo bei ricordi agli altri passeggeri del treno della vita!!!!

Ti AUGURO che il viaggio nel tuo treno,

per questo e tutti i prossimo giorni, mesi, anni che resteranno, sia migliore ogni giorno…

seminando amore e raccogliendo esiti positivi.

Ah! Dimenticavo di dirti: Ti ringrazio per ESSERE uno dei passeggeri del mio treno…

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SALTARE LA MESSA LA DOMENICA

So che il catechismo prescrive la partecipazione alla Messa la domenica e nelle altre festività religiose. A parte la malattia, ci possono essere motivi validi per saltare, a volte, la frequenza? Impegni lavorativi, familiari, di viaggio… Ci possono essere delle situazioni in cui è ammesso non andare alla Messa (magari recuperando in altro momento della settimana) o è sempre considerata una mancanza grave?

Risponde padre Luciano Santarelli, docente di Teologia morale

Ho fatto di recente un’esperienza missionaria in Guatemala, nella regione del Peten, dove in un territorio grande quanto la Toscana e l’Umbria insieme, operano solo venti sacerdoti. La maggior parte della popolazione (più di 500.000 mila anime) vive disseminata in villaggi poverissimi. Il missionario li può raggiungere due o tre volte l’anno, e nell’occasione viene celebrata la Messa in un clima di grande festa. Per il resto è possibile solo la celebrazione della Parola presieduta da un catechista.

La gentile lettrice che ci chiede in quali casi saremmo esonerati dal precetto domenicale vive certamente in luoghi dove la Messa festiva è assicurata, ma le chiese sono semivuote perché molta della nostra gente ha perduto la fede (in Toscana solo un battezzato su cinque frequenta l’Eucarestia domenicale).

Ecco perché credo sia importante capire il motivo per cui viene sollevata la questione. La domanda potrebbe essere posta infatti per trovare conferme alla relativizzazione in atto del terzo Comandamento.

Ora, proprio perché viviamo in un contesto di secolarizzazione, è necessario ribadire la centralità della domenica. L’uomo di oggi fatica a vivere il giorno del Signore, perché confonde il tempo libero con la festa. La festa genera vicinanza all’altro, il tempo libero invece seleziona spazi e persone per costruire una pausa alternativa al vivere quotidiano. La festa dà senso al tempo feriale, mentre il tempo libero fa evadere la persona per rimetterla a produrre. Solo la festa cristiana libera l’uomo dalle pur legittime preoccupazioni mondane, e gli fa ritrovare il mondo come casa dove abitare con gli altri, per gioire, condividere

Ed è proprio la celebrazione eucarestia, a cui è doveroso partecipare che fa la festa. Eucarestia è comunione, è ringraziamento per tutto quello che si è ricevuto, a cominciare dal tempo che non è nostro. Il Signore vuole che la domenica dedichiamo del tempo a Lui, ai familiari, e ai fratelli che sono nella sofferenza e nel bisogno. E il nostro è un Dio geloso che considera una mancanza in questo ambito come adulterio. Non santificare la festa è un peccato grave, cioè mortale.

Se tutto questo risulta chiaro alla nostra lettrice e la domanda fosse posta, come spero, solo per conoscere con quali norme si manifesta la prudenza della Chiesa, onde evitare quanto Gesù rimproverava ai farisei: «Il sabato è per l’uomo e non l’uomo per il sabato», rispondo che il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che «i fedeli sono tenuti a partecipare all’Eucaristia nei giorni di precetto, a meno che siano giustificati da un serio motivo» (CCC n. 2181).

Il «serio motivo» può essere in primo luogo stabilito dal vescovo o anche dal parroco (can. 1245). Pertanto quando vi è una ragione seria, permanente che impedisce di partecipare alla Messa festiva, si è dispensati dall’essere presenti fisicamente in Chiesa, ma non si è dispensati da una preghiera in casa.

Per determinare il serio motivo dobbiamo ricordarci che il Signore nel giorno che si è riservato, ha la priorità su tutto, ma anche che Dio guarda al cuore e non vuole che si faccia niente a danno dell’uomo.

Ciò è evidente in caso di malattia, o di anziani che potrebbero compromettere la loro fragile salute ma se uno ha una piccola indisposizione che non gli avrebbe impedito di andare a lavorare, non lo giustifica dal disertare la Messa. E questo vale anche per l’anziano nel caso godesse buona salute Anche concedersi un periodo di vacanza è cosa buona per l’uomo, purché non sia vacanza dallo spirito. Per cui non è senza colpa chi programma viaggi e ferie in luoghi dove gli sarebbe impossibile adempiere il precetto festivo.

Ci può essere il caso di chi deve assistere in modo continuato un infermo, o di una mamma che non può lasciare il proprio bambino. Costituiscono validi motivi per essere esonerati dal precetto solo quando la persona, pur seriamente attivandosi, non ha trovato nessuno che possa sostituirla.

Può anche capitare qualcosa di assolutamente imprevisto. Si è programmato di andare a Messa la domenica sera, ma la chiesa è irraggiungibile perché la strada è stata bloccata, oppure si viene a sapere di un parente che è stato ricoverato in ospedale etc.

C’è chi la domenica deve lavorare. II caso è esplicitamente contemplato: «Quando i costumi (sport, ristoranti, ecc. ) e le necessità sociali (servizi pubblico, ecc.) richiedono a certuni un lavoro domenicale ognuno si senta responsabile di riservarsi un tempo sufficiente di libertà… Nonostante le rigide esigenze dell’economia, i pubblici poteri vigileranno per assicurare ai cittadini un tempo destinato al riposo e al culto divino. I datori di lavoro hanno un obbligo analogo nei confronti dei loro dipendenti» (CCC n.2187). Pertanto è difficile che si configuri il caso d’impossibilità assoluta di adempiere il precetto, considerando anche la Messa prefestiva. Se ciò dovesse comunque accadere non si commetterebbe peccato, sempre che a quella persona necessiti svolgere quel lavoro così strutturato.

Qualunque sia il motivo per cui si è eluso la celebrazione domenicale questa non può essere sostituita con un’altra Messa durante la settimana.

Qualora il fedele nutrisse ancora dei dubbi consiglio di parlare con il proprio Sacerdote o Confessore

 

2 novembre: ricordo dei nostri MORTI     

L’occasione del 2 Novembre con la visita ai Cimitero, offre anche ai ragazzi l’opportunità di dare voce a interrogativi e paure, soprattutto se la morte ha colpito qualche persona a loro cara.

Ogni bambino ha bisogno di rendersi conto di ciò che accade nella sua vita. Per fare ciò ha bisogno, però, dell’accompagnamento degli adulti che sappiano ascoltare i loro sfoghi e i loro tentativi di spiegazione, che attraverso storie e racconti facciano loro comprendere che la vita è più potente della morte e che ciò che abbiamo vissuto con le persone care non è andato perduto, ma diventa parte di noi e continua a vivere attraverso di noi.

La fede cristiana offre una nuova prospettiva al bisogno di vita dell’uomo: Gesù Risorto è il pegno di questa speranza. Come lui, anche noi riceveremo da Dio una vita nuova «zam­pillante in vita eterna».

«Caro Valentino, da molto tem­po non giochi, né parli più con nonno e certamen­te senti la sua mancanza. Ti chiederai dove sia anda­to e perché non puoi vederlo come prima. Negli ultimi mesi ti sei accorto che nonno  non stava più bene, spesso era triste, stanco, tu lo trovavi con gli occhi chiusi e il suo corpo era diventato fragile. Come una gabbia troppo stretta, il suo corpo  non poteva più contenere il suo cuore grande e pieno d’amore, e, come un uccello dal­le grandi ali colorate o come una bellissima farfalla lo ha lasciato per andare a far festa con il suo babbo Mario, con la sua mamma, con nonna Grazia e con tante persone a lui care».

«Però, ed è questo il segreto bellissimo, questi nostri cari che sono spariti dalla nostra vista, non ci hanno ab­bandonato, ma vivono vicini a noi. 1 fiori che nonna va a met­tere sulla sua tomba vogliono dire proprio questa vicinanza.  Soprattutto, ti dice piano piano, in fondo al cuore: ‘Non ti tengo più sulle mie ginocchia, ma sei ugualmente il mio tesoro, ti voglio sempre bene”. E poiché il suo corpo è stanco e riposa, si serve degli oc­chi, delle mani, del cuore di babbo e di mamma per esprimerti il suo amore.

 

Perché nella Messa si ricorda il nome di uno o più defunti?

E’ vero: ogni giorno nella celebrazione dell’Eucaristia viene fatta memoria dei «fratelli che si sono addormentati nella speranza della resurrezione e di tutti i defunti che si affidano alla misericordia di Dio».

Questo culto dei defunti, radicato nella certezza della Resurrezione del Signore e nostra, professate nel simbolo della fede ogni domenica, è direttamente testimoniato fin dalla metà del secolo II. L’uso di nominare il defunto o i defunti nella preghiera eucaristica lo troviamo sicuramente nel vescovo Cipriano di Cartagine (secolo III). Il defunto era ricordato nominalmente per la prima volta nella celebrazione eucaristica per la sua dormizione.

Ben presto i nomi dei defunti si scrissero su tavolette (dittici) in cui si elencavano quelli che una Chiesa voleva e doveva ricordare nella celebrazione: queste tavolette erano lette dal diacono, all’inizio della parte eucaristica, forse prima della preparazione dei Santi Doni dopo la lettura dei dittici dei viventi, anche questi ricordati per diversi motivi dalla comunità. Da ciò risulta evidente che fin dall’antichità la celebrazione eucaristica era l’evento grazie al quale si ricordavano come veramente presenti i fratelli, che di certo erano uniti alla comunità in forza della comunione dei Santi. Il nominarli ad alta voce li rendeva presenti e vivi nell’azione comunitaria.

L’uso è sicuramente durato fino al secolo X e forse anche oltre: questo era costante nelle celebrazioni feriali, ma la domenica e nelle festività i dittici non erano letti. Celebrare il Mistero della Resurrezione del Signore inglobava di per sé tutti gli altri ricordi, proiettando la comunità tutta verso la resurrezione finale.

Dopo il secolo X il numero dei defunti era assai elevato, quindi se ne nominavano alcuni e si aggiungevano subito delle formule, che alludessero alla loro totalità. Cosi testimonia il ricordo dei defunti nel canone romano: Ricordali anche, Signore, dei tuoi servi e delle tue serve (qui il. diacono leggeva alcuni nomi dei dittici), che ci hanno preceduto nel segno della fede e dormono il sonno della pace. E immediatamente si aggiungeva: Per loro, Signore, e per tutti quelli che riposano in Cristo, affinché Tu sia indulgente; supplichiamo un luogo di refrigerio, di luce, e di pace.

La formula come la conosciamo attualmente nel canone romano non è originaria. Le testimonianze più antiche non la contengono e la ritroviamo nelle contaminazioni dei sacramentari romani nella Gallia. Comunque essa riporta una antica e positiva teologia sulla dormizione dei fratelli in Cristo. Affermo questo perché dalle

testimonianze antiche sappiamo che non erano nominati coloro che per eresia o per altre motivazioni non erano morti in comunione con la Chiesa, quindi non dovevano essere ricordati. A questo proposito si tenga presente che nell’originaria preghiera eucaristica di Ippolito è assente il ricordo dei defunti. Soltanto la riforma di Paolo VI farà ricordare tutti coloro che sono dormienti, anche quelli non battezzati. Indico almeno due espressioni: defunti (prece eucaristica II°) e giusti ( prece eucaristica III°). Oggi diversamente dal primo millennio non si ricordano più i nomi nel momento in cui si prega per i fedeli e non-fedeli defunti. È possibile farlo nella messa esequiale o in qualche particolare occasione con i formulari per questo inseriti. C’è semplicemente da domandarsi se questo sia corretto. Da alcune conferenze episcopali regionali si dice di nominarli nella preghiera dei fedeli o altrove; nonostante che il luogo ideale sia nel ricordo che la Chiesa tutta fa nella preghiera eucaristica.

I problemi reali sorsero nel secolo X quando oltre alle ordinarie celebrazioni per i defunti (terzo, settimo e trentesimo giorno dalla morte ed anche nella celebrazione anniversaria) e al ricordo quotidiano si cominciarono a celebrare messe per defunti particolari dietro richiesta dei parenti, con l’aggiunta di uno «stipendio», un’offerta per la celebrazione. Di abusi ne furono commessi tanti e i Vescovi delle Chiese dovettero spesso intervenire anche all’interno dei monasteri, dove erano stati ordinati tutti i monaci (di per sé laici) per la celebrazione delle messe dei defunti. All’interno del monastero si impose di non celebrare più di cento messe al giorno per lo stesso defunto. Tutto questo esprime un nuovo modo di intendere la celebrazione eucaristica e la stessa realtà della morte.

La celebrazione delle messe da morto fu una vera speculatone economica, ben riscontrabile nello studio della storia della liturgia. Lo stesso concilio di Trento dovette intervenire per evitare gli abusi continui, mantenendo un unico abuso che lentamente scomparve nella ritualità della Chiesa occidentale L’Oriente non ha avuto problemi similari.

Un po’ di storia, sia degli aspetti positivi sia di quelli negativi, era importante per giungere ad una risposta, che forse va al di là della stessa domanda.

Sicuramente ogni giorno nella celebrazione eucaristica ognuno può e deve ricordare i suoi morti, perché l’Eucaristia resta il permanente legame con loro. Ma, credo, secondo la tradizione delle Chiese, che sia giusto «nominare» anche i fratelli defunti. Il ricordo diretto fatto dal presbitero nella celebrazione è ricordo pienamente ecclesiale dei fratelli che ci hanno preceduto nella fede, secondo l’antichissima tradizione dei dittici.

Credo sia doveroso aggiungere anche un’altra osservazione per essere ancora più completi. Troppo spesso si sente ancora dire: «Oggi la messa è mia» e questo per lo stipendio/offerta lasciata. La celebrazione eucaristica, che pur nomina vivi e defunti secondo la tradizione, abbraccia tutta quanta la comunità ecclesiale, con le intenzioni di tutti e ricorda indifferentemente tutti e tutte; perché essa è il Mistero della salvezza che in Cristo è ancora attuale per tutti. Ho detto che per l’Oriente il problema non si è posto e non si pone come è facilmente comprensibile dalla annotazione rituale della preghiera eucaristica di Giovanni Crisostomo che sostiene: «Il celebrante ricorda quelli che vuole». Dunque, il «nominare» è molto importante al di là di qualsiasi «stipendio» e anche senza questo.